Sin dal ‘700 il microscopio ottico è uno degli strumenti indispensabili per osservare oggetti e dettagli di piccole dimensioni, ed è ormai una tecnica consolidata e ben nota.
Il microscopio elettronico, nonostante abbia visto la luce quasi cento anni fa e abbia subito numerose implementazioni che lo rendono ormai uno strumento di largo impiego, viene ancora considerato uno strumento di non semplice utilizzo e quindi riservato a personale molto qualificato.
Ma quali sono le differenze tra queste due tecniche, in molti casi complementari o addirittura sovrapponibili? Quali sono i benefici dell’una o dell’altra tecnica? Proviamo ad approfondirli insieme.
I principi di funzionamento presentano delle analogie: si compongono di una sorgente, una serie di lenti e un sistema per raccogliere il segnale.
Nel caso di un microscopio ottico, la sorgente è una fonte di luce. Il sistema è dotato di una serie di lenti fisiche trasparenti per un’osservazione diretta (microscopio o stereomicroscopio) oppure per trasferire l’immagine a una fotocamera digitale nel caso si tratti di un microscopio ottico digitale.
Nel caso di un microscopio elettronico a scansione invece, la sorgente sarà un emettitore di elettroni e le lenti non saranno fisiche bensì elettromagnetiche o elettrostatiche. Il segnale restituito dal campione verrà raccolto tramite detector ed elaborato in un’immagine in scala di grigio.
Al di là delle analogie tra microscopia ottica ed elettronica, ciò che maggiormente le differenzia è il tipo di particella che sfruttano per scansionare il campione.
In microscopia ottica, tradizionale o digitale, la particella che scansiona la materia è il fotone:
Una prima importante differenza tra microscopio ottico, classico o digitale, e microscopio elettronico a scansione risiede nelle migliori prestazioni di quest’ultimo in termini di potere risolutivo.
Un modo semplice per definire la risoluzione è valutarla come la capacità di discriminare due punti ravvicinati. Di fatto non è possibile osservare un oggetto di dimensione inferiore alla lunghezza d’onda di scansione.
Impiegando come teoria la legge di Rayleigh per calcolare la risoluzione spaziale (NB: la legge di Rayleigh si applica unicamente a sistemi perfetti):
Δl: Risoluzione spaziale
f: distanza focale
λ: frequenza della luce o degli elettroni
D: apertura
La risoluzione di un microscopio ottico, secondo la legge Rayleigh, non potrà superare gli 0.2 µm, limite fisico dovuto alla lunghezza d’onda impiegata (centinaia di nanometri), nonostante le lenti ottiche possano essere realizzate in modo da comportarsi come lenti perfette (mantenendo le aberrazioni al minimo).
Fa eccezione la microscopia ottica a super-risoluzione (STORM), che riesce a superare i limiti fisici della tecnica, impiegata in ambito delle bioscienze e degli studi di singole molecole.
Se applicassimo la legge di Rayleigh a un microscopio elettronico, ad esempio un Phenom, otterremmo una risoluzione di 0,45 nm a 10 kV. Purtroppo tale regola non può venire applicata ai microscopi elettronici, in quanto le lenti elettromagnetiche sono ben lontane da poter essere assimilate a lenti perfette.
Se un microscopio ottico digitale non potrà mai superare una risoluzione di 0.2 µm, un microscopio elettronico ha comunque risoluzioni nell’ordine dei nanometri (variabili in funzione del tipo di sorgente e del voltaggio applicato).
Quindi in termini risolutivi e di ingrandimenti raggiungibili, il microscopio elettronico a scansione è nettamente superiore rispetto a un microscopio elettronico digitale, anche di alta fascia.
Fig.1: proboscide di farfalla
Un’altra caratteristica che distingue microscopia ottica ed elettronica è la profondità di campo: un microscopio elettronico è in grado di restituire un’immagine a fuoco di campioni aventi anche piani diversi, restituendo anche maggior tridimensionalità all’immagine. Viceversa un microscopio ottico, ha minore profondità di campo.
Inoltre strumenti di ultima generazione, quali i microscopi elettronici a scansione Thermo Fisher Scientific sono dotati di funzionalità avanzate che sovrappongono immagini scattate a diverse distanze focali in modo da avere un’immagine completamente a fuoco di oggetti fortemente tridimensionali grazie alla funzionalità Ultra Depth of Focus.
Fig. 2: molla in acciaio
Un’altra notevole differenza tra microscopia ottica digitale e microscopia elettronica, è la tipologia di immagine che viene generata.
Nel caso di un microscopio ottico digitale, la luce interagisce con l’oggetto e l’immagine viene convertita in un’immagine a colori proiettata a schermo. Nel caso di un microscopio elettronico a scansione, gli elettroni del fascio interagiscono con la materia creando diversi segnali, ognuno in grado di fornire determinate informazioni sul materiale: in particolare gli elettroni retrodiffusi forniscono un’immagine in cui la scala di grigio è funzione della composizione del materiale e questo può essere utile per evidenziare variazioni di composizione anche piccole e per verificare la presenza di corpi estranei in un materiale.
Fig.3: diamante sintetico (a base di Carbonio) in un sistema abrasivo
Con la microscopia elettronica è inoltre possibile ottenere la composizione elementare del campione a livello qualitativo e semiquantitativo: la tecnica denominata EDX o EDS (Energy Dispersive X-Ray Spectroscopy) consente di determinare la composizione e l’eventuale distribuzione degli elementi nel campione. L’analisi si basa sulla raccolta del segnale dei raggi X, caratteristici per ogni singolo elemento, emessi dal campione a seguito dell’interazione col fascio di elettroni, e può essere condotto su un singolo punto o un’intera area del campione.
Fig.4: analisi EDX su un campione in Rame con coating polimerico (che appare scuro nell’immagine SEM)
Fig.5: mappa EDX della superficie di una particella
A fronte degli indubbi vantaggi di un microscopio elettronico SEM, spesso l’utente che si avvicina alla tecnica può spaventarsi davanti ad alcune possibili problematiche legate ai costi di installazione, gestione e difficoltà d’uso.
E’ qui che un SEM da banco fornisce il perfetto compromesso tra prestazioni e costi elevati.
Un microscopio elettronico modulare come il Phenom della Thermo Fisher Scientific permette di implementare eventuali detector aggiuntivi in un secondo momento. È quindi possibile acquistare prima uno strumento in grado solo di scattare immagini per poi implementarlo in un secondo tempo con la funzione EDX!
Un microscopio SEM da banco è uno strumento estremamente compatto che necessita della sola alimentazione elettrica, in pratica richiede gli stessi spazi ed utenze di un semplice PC. Inoltre l’interfaccia d’uso è appositamente studiata per permettere l’utilizzo da parte di personale non specializzato.
Per quanto riguarda la velocità di analisi, i Phenom della Thermo Fisher Scientific sono i più veloci strumenti sul mercato e permettono di acquisire immagini in meno di 60 secondi dal caricamento del campione.
Spesso uno degli scogli nel valutare la microscopia elettronica è il fatto di vedere una porzione molto piccola di campione, e quindi faticare a orientarsi su un oggetto di grandi dimensioni. A tale scopo i microscopi elettronici di ultima generazione montano una CCD nella camera prevuoto: l’immagine dell’intero campione acquisita servirà poi per navigare su aree specifiche. Inoltre tramite sistemi di stitching di immagine, è possibile acquisire in maniera automatica un’unica immagine ad alta risoluzione di un’area anche molto ampia del campione.
Fig.6: immagine SEM di una moneta da 5 centesimi ottenuta in seguito dell’acquisizione automatica e successivo stitching di circa 1700 immagini
Il SEM per poter operare deve lavorare in vuoto, dato che impiega elettroni che al contrario dei fotoni interagiscono con la materia. Per questo motivo è necessario fissare i campioni (specialmente polveri) al supporto di analisi per evitare che vengano risucchiati nella colonna del microscopio. Per ragione analoga, non è possibile analizzare campioni liquidi o fortemente umidi, se non tramite una opportuna preparazione che essicchi il campione senza alterarne la struttura.
Entrambi i sistemi, sia microscopio ottico digitale che microscopio elettronico a scansione possono poi essere dotati di una serie di software aggiuntivi per l’analisi delle immagini ottenute, ad esempio per la misurazione di diametri o dimensioni specifiche. I microscopi elettroni Phenom della Thermo Fisher Scientific sono ad esempio dotati di un pacchetto di software opzionali integrati nell’interfaccia SEM, che permettono di eseguire ricostruzioni 3D di superfici (3D Roughness Reconstruction) o di eseguire analisi in automatico del diametro di fibre o della forma e dimensione di particelle (Fibermetric e Particlemetric).
Un campo di applicazione classico in cui microscopio ottico digitale e microscopio elettronico a scansione vengono spesso utilizzati è quello legato alla caratterizzazione di particelle. In termini di risoluzione e ingrandimento, il SEM garantisce come già menzionato prestazioni più elevate, e permette inoltre di ottenere informazioni morfologiche dettagliate sulla superficie di particelle sub-microniche rendendolo la soluzione preferibile.
In termini di produttività (ovvero di numero di particelle analizzate) un buon sistema di analisi ottica è superiore a un SEM. Con la strumentazione ottica si può arrivare ad analizzare fino a 100.000 particelle/ora, mentre la strumentazione SEM arriverà a 25.000 particelle all’ora (inclusa però l’analisi EDX). Se l’esigenza principale è la velocità, ad esempio quando si controlla una linea di produzione, la strumentazione ottica è la tecnica più appropriata da utilizzare. Il vantaggio del SEM è però di poter anche eseguire analisi EDX in automatico sulle particelle, verificandone anche la composizione e dando quindi un’ulteriore informazione molto preziosa.
Inoltre la natura del materiale analizzato può influenzare la scelta del sistema di analisi d’immagine. Si può infatti riscontrare mancanza di contrasto nell’acquisizione di immagini di specifici materiali quando si utilizza un SEM o un microscopio ottico. In un SEM, il detector elettroni retrodiffusi (BSD) restituisce un’immagine di tipo composizionale: se si impiegano adesivi di carbone per fissare le particelle, può risultare difficile distinguere e poi analizzare particelle principalmente composte da carbonio, ad esempio la grafite, principi farmaceutici o polimeri. Il microscopio ottico utilizza invece un vetrino per la preparazione del campione, che consente di acquisire un’immagine ad alto contrasto anche di materiali leggeri. Ottimizzando però le condizioni operative (utilizzando per esempio il detector SED) o il sistema di preparativa, è possibile acquisire immagini sufficientemente contrastate anche su materiali a basso peso atomico tramite il SEM.
Il microscopio SEM risulta infine più adatto all’analisi della forma, dimensioni e morfologia di un campione, specialmente con l’utilizzo del detector per elettroni secondari. Per entrambe le tecniche, microscopi ottici ed elettronici, ci sono accorgimenti da prendere per superare i loro limiti, ma di solito ciò comporta una maggiore preparazione del campione e risultati non per forza ottimali.
In conclusione: la strumentazione SEM consente di analizzare la dimensione, forma e morfologia del campione in modo migliore rispetto alla strumentazione ottica. L’acquisizione di immagini di elementi leggeri con il SEM richiede uno step addizionale nella preparazione del campione, quindi in questo caso il microscopio ottico è più adatto.
Entrambe le tecniche presentano specifici punti di forza ma anche criticità, ma in termini di performance, velocità e semplicità d’uso il microscopio elettronico a scansione ha fatto negli ultimi anni passi da gigante.