La produzione e l’utilizzo del cemento sono interessanti, in quanto le operazioni di sminuzzamento e agglomerazione vengono eseguite non una ma ben due volte. Vengono tagliati, frantumati e macinati dei blocchi di calcare, prima di essere uniti in un forno rotante per produrre sfere di clinker. Il clinker viene quindi nuovamente macinato e, con l’aggiunta di altri materiali (come il gesso), si ottiene il cemento in polvere. Questo cemento in polvere viene quindi usato per creare blocchi di materiale più grandi. Verrebbe da chiedersi perché non utilizzare da subito i blocchi di calcare? Ebbene, in molti casi è stato fatto. La Grande Piramide di Giza è fatta di blocchi di pietra calcarea, così come molti degli edifici a Kingston, in Ontario (Canada), soprannominata infatti “Limestone City” (città di calcare). Tuttavia, la comodità di lavorazione e manipolazione della polvere, nonché la capacità di creare forme complesse, colori e strutture ottimizzati, mediante quello che è di fatto un processo di produzione additiva, rendono il cemento e il calcestruzzo molto più utili e versatili.
Tuttavia, la lavorazione delle polveri presenta degli svantaggi: la dimensione e la forma delle particelle, o meglio la distribuzione granulometrica e morfologica, sono fondamentali per la produzione di un prodotto finito robusto, sia che si tratti di un blocco di cemento sia di un piatto o una tazza nel settore ceramico. Per queste applicazioni la presenza di particelle agglomerate può essere problematica in quanto tendono a produrre spazi vuoti all’interno della struttura, fonte di punti deboli da cui può iniziare la propagazione delle cricche (Griffith 1921).
L’equazione di Griffith è importante per spiegare la meccanica delle fratture di questi sistemi e mostra come i materiali cedano molto prima di quanto lasci prevedere la loro resistenza alla trazione, a causa della presenza di difetti microscopici simili a quelli illustrati in Figura 1. Ciò può essere spiegato dalla considerazione termodinamica della sollecitazione richiesta per formare una nuova superficie:
dove σc è la sollecitazione critica richiesta per la frattura, E è il modulo di Young, γ è la densità di energia superficiale e 2a è la lunghezza della cricca o fessura.
Figura 1: Il disegno mostra lo spessore di un campione con una fessura a forma di lente di lunghezza 2a sottoposta a uno sforzo di trazione
Esiste inoltre un altro problema fondamentale: le polveri costituite da particelle primarie di piccole dimensioni (<100 nm) tendono ad aggregare rapidamente. Infatti il limite granulometrico di una macinazione a secco è di circa 0,5 – 1 µm, poiché le particelle più piccole si riagglomerano dopo la rottura e tendono anche a flettersi (deformarsi plasticamente) piuttosto che rompersi (Rahaman 2003). Utilizzando i criteri di Griffith, Kendall ha elaborato nel 1978 un’equazione per indicare il diametro critico delle particelle (dc) al di sotto del quale l’ulteriore macinazione è considerata impossibile tramite forze di compressione.
Per un campione di calcite dove E ≈ 72 GPa, γ ≈ 0,347 Jm-2 e σc ≈ 100 MPa il valore calcolato per dc è di circa 1 μm.
Nella ricerca di materiali ad alte prestazioni, l’obiettivo è spesso quello di ottenere un prodotto con elevata resistenza e, in termini generali, ciò si ottiene utilizzando un materiale che presenti le seguenti proprietà:
- Bassa massa molecolare
- Punti di fusione e ebollizione elevati
- Alta densità
- Elevato Modulo Young
Esiste anche una dipendenza tra la resistenza e la forma delle particelle, i materiali filiformi possiedono una maggiore resistenza alla flessione rispetto a particelle a forma discoidale e ai cristalli. Si comprende così l’importanza della fibra di carbonio e dei nanotubi di carbonio. C’è poi la sfida di costruirli con una dimensione delle particelle primarie la più piccola possibile ma non troppo piccola. La congettura di Hall-Petch (Hall 1951, Petch 1953) spiega che è possibile aumentare la resistenza diminuendo la dimensione primaria delle particelle, ma al di sotto di una dimensione limite le dimensioni delle dislocazioni iniziano ad avvicinarsi alla dimensione delle particelle. A una dimensione della particella di circa 10 nm forse solo una o due dislocazioni possono adattarsi al suo interno. Da un punto di vista applicativo si può guardare sia il materiale stesso che gli spazi intermedi. Molte proprietà del materiale sono influenzate dall’ impaccamento (o impacchettamento) ottimale tra le particelle. Tra queste si possono elencare:
- Resistenza finale – meglio se gli aggregati e gli agglomerati siano ridotti al minimo e la dimensione delle particelle primaria sia la più piccola possibile
- Proprietà reologiche e di scorrevolezza delle polveri e dell’impasto.
- Porosità / distribuzione delle dimensioni dei pori: importante per applicazioni che vanno dalla catalisi al flusso di penetrazione dell’acqua nei i terreni
- Potenziale e densità di impaccamento: fondamentale che sia corretto per ottenere la massima resistenza della struttura finale.
- Restringimenti per essiccazione e cottura: nei settori della sabbia ceramica e della metallurgia delle polveri questi possono essere la causa di rotture o altri problemi nel prodotto
- Area Superficiale: spesso è desiderabile massimizzarla. Ma oltre a ridurre la dimensioni delle particelle a questo fine, l’area superficiale ottimale deve essere bilanciata rispetto alla tendenza ad aggregare in modo indesiderato e a polverizzare, con conseguenti rischi ambientali, di particelle di dimensioni primarie molto piccole.
La comprensione dei fenomemi di impaccamento tra le particelle ha impegnato i teorici sin dal 1500 (impilamento delle palle di cannone sul ponte di una nave). È bene esaminare il problema per fasi. È ovvio che alcune forme, come cubi, carte, mattoni, possono essere impaccate nelle 3 dimensioni senza che rimanga alcuno spazio vuoto. Da un punto di vista economico, un esempio è rappresentato dalle stive di aerei o navi che, solo parzialmente piene, possono costare denaro ai proprietari e una soluzione adottata a livello internazionale è stata la standardizzazione di contenitori e pallet per consentire loro di adattarsi o impilarsi ordinatamente uno accanto all’altro occupando tutto lo spazio disponibile nelle 3 dimensioni.
In 2-D esistono alcune geometrie di impaccamento interessanti come la Tassellatura di Penrose, mentre in uno spazio tridimensionale possiamo considerare il caso dei quasi-cristalli, ma è davvero difficile visualizzare l’impaccamento in 3-D quindi dobbiamo analizzarlo gradualmente per fasi per ottenere maggiori informazioni.
- Impacchettamento (o impaccamento) ravvicinato di particelle sferiche monodisperse: ha implicazioni nella cristallografia e rappresenta in modo interessante la forma in cui è possibile avere il massimo spazio libero in un sistema compatto. È la situazione più studiata da un punto di vista teorico, ma dobbiamo distinguere il 2-D (cerchi, dischi) dal 3-D (sfere) poiché spesso il primo è usato per rappresentare schematicamente la struttura. In questo caso possiamo avere le strutture impaccate più dense chiamate hexagonal close packing (HCP) e strutture face centered cubic (FCC), in entrambe le quali una sfera centrale tocca altre 6 sfere sullo stesso piano cin 12 contatti in totale dando una frazione di impaccamento massima del 74%, o meglio il 26% di spazio vuoto.
- Impacchettamento casuale di particelle sferiche monodisperse: può sembrare un concetto strano, ma è una situazione più realistica della precedente, si immagini ad esempio di versare biglie o cuscinetti a sfera in una scatola o in un barattolo. Anche questo caso è stato ampiamente studiato e dà origine a ciò che viene chiamato impaccamento di Bernal, dove è possibile ottenere il 64% di impaccamento (e quindi il 36% di spazio vuoto) per un campione di sfere relativamente monodisperse.
- Impacchettamento casuale di particelle sferiche polidisperse: in questo è possibile iniziare a “riempire gli spazi” tra le sfere. Sono state considerate miscele di 2, 3 e 4 diverse dimensioni di particelle sferiche su base teorica. Questa è la base dell’Impacchettamento Apolliniano, studiata su più dimensioni particellari. Un’applicazione pratica si riscontra nella produzione di emulsioni olio in acqua dove un mix di dimensioni diverse può aumentare notevolmente il carico della fase oleosa senza alcun aumento della viscosità. I sistemi bimodali sono stati studiati per primi in quanto una grande riduzione della viscosità può essere ottenuta adattando la distribuzione granulometrica delle particelle/gocce, in modo che l’emulsione più grossolana abbia una distribuzione granulometrica molto stretta miscelata ad un sistema polidisperso di gocce più piccole.
- Impacchettamento casuale di particelle monodisperse non sferiche/irregolari: un esempio può essere il confezionamento di forme di pasta identiche o spine elettriche in una scatola. Questo problema è quasi insolubile sebbene con le potenze di calcolo attuali siano oggi disponibili programmi (ad esempio DigiPac) che predicono l’impaccamento e la scorrevolezza di oggetti come quelli menzionati. Semplicemente sembra che non ci siano soluzioni universalmente applicabili in questo settore.
- Impacchettamento casuale di particelle polidisperse non sferiche / irregolari: immaginiamo dei soldatini in una scatola, questo è il primo tipo di sistema del mondo reale studiato e riportato nella pubblicazione di Furnas (1931) sulla classificazione degli aggregati, che ha dimostrato per i sistemi a 2, 3 e 4 componenti che l’impaccamento più denso si avvicinava al 97% per tutti i sistemi. Il parametro chiave in questo caso è il rapporto tra particelle di dimensioni più grandi e più piccole e maggiore è questo rapporto, migliore è l’impaccamento ottenibile.
Tabella 1: Effetto della distribuzione granulometrica di particelle sferiche disperse casualmente sulla massima densità di impaccamento (A V Shenoy “Rheology of Filled Polymer Systems” Springer pagina 268 (1999)
Figura 2: densità di impaccamento (f) per una miscela bimodale di particelle di dimensioni piccole e grandi (Fundamentals of Refractory Technology; James P.Bennett & Jeffery D. Smith, Ceramic Transactions, Volume 25, 2001 (American Chemical Society)
Da un punto di vista pratico, Dinger mette in evidenza le distribuzioni granulometriche ottimali per una distribuzione dimensionale delle particelle continua, utilizzando l’equazione Dinger-Funk qui di seguito.
Dove, CPFT è la percentuale cumulativa in volume più piccola di, D è la dimensione delle particelle, DS la dimensione minima delle particelle e DL la dimensione delle particelle più grandi. L’esponente n è un coefficiente di distribuzione e fornisce un’indicazione della quantità di materiale fine e grossolano che può essere inserito in un volume.
L’impaccamento più denso si ottiene con la cosiddetta distribuzione “Fuller”. Questa distribuzione teorica consiste in diverse frazioni di distribuzioni monodimensionali di particelle, le cui dimensioni e quantità sono appena sufficienti a riempire i vuoti che si sviluppano tra le particelle della frazione successiva più grande. Il cosiddetto Impacchettamento Apolliniano (esagonale) di particelle sferiche ne è un esempio. In termini di forme irregolari, le miscele teoriche di particelle sferiche e allungate sono state studiate dal già citato Kyrylyuk (2001). Anche nel settore delle costruzioni stradali ci sono applicazioni pratiche in cui viene mostrato lo stesso mix ottimale per aggregati grossolani e fini, che ricordano i primi lavori di Furnas (1931).
Quindi, in conclusione, si è analizzata la combinazione teorica teoria per particelle di forme (invariabilmente sferiche) e dimensioni note (mono e polidisperse) indirizzata verso le applicazioni pratiche per miscele di particelle di forme e dimensioni differenti. Citando la USP <766>, lo standard farmaceutico per la microscopia ottica: “Per particelle di forma irregolare, la caratterizzazione della dimensione delle particelle deve anche includere informazioni sulla forma delle particelle”.